Nell’universo del gioco d’azzardo, si insinua un’ossessione travolgente, un comportamento implacabilmente ripetitivo, che getta le vite di chi ne è affetto in un burrone scosceso, dal quale risalire è faticoso.
Il gioco d’azzardo patologico, o ludopatia, è una dipendenza particolare nel suo genere. Non ha alcuna relazione con sostanze stupefacenti, eppure è sovrapponibile alle dipendenze da alcol e droghe, le cui conseguenze dannose sono evidenti con maggiore immediatezza. Ben cinque dei criteri utilizzati per il riconoscimento del gioco d’azzardo patologico rispecchiano fedelmente quelli necessari a identificare le dipendenze chimiche: astinenza, tolleranza, innumerevoli tentativi falliti di rinunciare, abbandono di altre attività e una persistenza tenace in tale comportamento, nonostante le chiare conseguenze dannose che può comportare.

Il gioco d’azzardo ha radici lontane, dai dadi (az-zhar in arabo, da cui azzardo) dell’antico mondo arabo al casinò moderno in rete. È cruciale identificare il prima possibile quando il gioco smette di essere un divertimento per trasformarsi in un disturbo che richiede intervento specialistico. La ludopatia è il risultato di un intricato intreccio di fattori di rischio genetici, neurobiologici e ambientali. Ma anche il tipo di gioco è rilevante.

Gioco d’azzardo, la Fallacia di Montecarlo e l’influenza sui giovani: quasi uno su due ‘sperimenta’

Le sfide basate sulla competenza, infatti, costituiscono un sentiero meno pericoloso, mentre le slot machine, le lotterie e i vari tipi di scommesse sono tagliole pronte a scattare sul giocatore, illudendolo di poter facilmente cambiare il destino. Un esempio deprimente di questo meccanismo è la Fallacia di Montecarlo, che illude le persone inducendole a pensare che una serie di perdite debba inevitabilmente concludersi con una vittoria. L’intersezione tra la tradizione del gioco d’azzardo e l’innovazione tecnologica ha reso il gioco d’azzardo più accessibile che mai attraverso il mondo del “gioco online”. Nonostante le restrizioni legate all’età, i giovani sono irresistibilmente attratti dalle diverse forme di gioco d’azzardo, anche prima dei dieci anni d’età. Spinti dall’inclinazione all’esplorazione, i più giovani rappresentano una popolazione particolarmente vulnerabile. L’influenza dei pari e il collegamento del gioco d’azzardo a pratiche socialmente accettate, come lo sport, ne amplificano ulteriormente l’attrattiva tra loro tanto che, in Italia, il 44% degli studenti tra i 15 e i 19 anni ha sperimentato il gioco d’azzardo nel corso del 2022.

Le recenti notizie del mondo calcistico hanno nuovamente acceso una luce sulla realtà della ludopatia dando luogo a un ampio dibattito sulla necessità delle cure. È doveroso però ricordare un potente fenomeno, ben conosciuto dal marketing e chiamato “effetto mera esposizione”: più le persone si trovano esposte a un marchio o a un messaggio, più tenderanno a sviluppare una positiva predisposizione verso di esso, anche senza conoscerne i dettagli. La pubblicità invasiva dei giochi d’azzardo su social media e in televisione contribuisce a renderli comuni, una pratica accettata da ognuno. Tanto da giovani in cerca di una fortuna improvvisa quanto da giovani talenti sportivi già all’apice della loro ricca carriera. Indipendentemente dall’età, tutti coinvolti in questa normalizzazione del gioco d’azzardo. Il contrasto alla ludopatia non può e non deve concludersi con terapie e trattamenti.

Rendere disponibili setting specialistici per curare chi è caduto nel burrone è, ovviamente, un intervento necessario, ma tardivo e più complesso. Innalzando una robusta staccionata all’inizio del pendio potremo evitare scivoloni e cadute nel baratro della dipendenza. Per realizzarla è necessario un audace intervento preventivo, che coinvolga ogni settore della società e della cultura contemporanea, senza falsi moralismi. Nell’era digitale, caratterizzata da un accesso immensurabile all’informazione, dall’abbondanza di opportunità e dalla ricerca inesorabile del successo a tutti i costi, a livello individuale e sociale stiamo dimenticando il ruolo basilare del limite che non è restrizione ma strada maestra per preservare l’equilibrio, il benessere e l’etica personale e collettiva.
Il limite ci guida nella definizione di obiettivi realistici e ci protegge dalla frustrazione derivante dall’aspettativa di raggiungere l’impossibile. Questa consapevolezza ci permette di stabilire priorità, concentrando le nostre energie su ciò che conta davvero. Senza il limite e con una bassa tolleranza alla frustrazione, la felicità rimane un miraggio, l’illusione di un gioco d’azzardo. Per il singolo e per la società.