lunedì 9 settembre 2019

Padre Morittu: la nuova droga che intossica mente e corpi è il gioco d’azzardo




l’intervista

L’Invito a resistere alla tentazione del gioco per non cadere 
nella ludodopatia arriva anche dall’altare. In una delle sue 
ultime omelie domenicali, don Cristiano Orezzi, viceparroco
 di Stradella, responsabile dell’oratorio San Giovanni Bosco
 e della pastorale giovanile della diocesi di Tortona, ha messo
 l’accento su questo problema. La sua riflessione dal pulpito è
 partita da un dato molto allarmante, se si pensa alla realtà 
stradellina: nel 2016, in giochi e scommesse, sono stati 
giocati 26 milioni.

«Il vangelo di quella domenica riportava un passo
 dell’evangelista Luca dove Gesù, in risposta ad un uomo 
che gli aveva chiesto di aiutarlo a convincere il fratello a
 dividere l’eredità, racconta una parabola, esortando i 
discepoli a non accumulare ricchezze sulla terra. Visto il
 tema, così, ho voluto citare il dato».

Una cifra enorme che si potrebbe usare diversamente:
 intendeva questo?

«Esattamente. Come ho detto nell’omelia si potrebbero 
mettere a posto tanti campi di San Zeno per i ragazzi, 
finanziare i lavori all’oratorio, e, può sembrare una 
provocazione, abolire la Caritas. Pensiamo che ogni 
settimana al nostro centro caritativo arrivano oltre 300 
famiglie a chiedere aiuto e di certo alcune di queste sono
 finite sul lastrico a causa del gioco».

Qual era il messaggio dell’omelia domenicale ?

«Gesù non rinnega la ricchezza, ma vuole solo che sia
 un mezzo di azione, di impegno verso gli altri, aiutando 
quelli che sono nello sconforto, che per Gesù sono i veri 
ricchi. Molto spesso, invece, la ricchezza allontana da Dio 
e addirittura pensiamo di essere assicurati contro la vecchiaia
 e la morte. L’unica scommessa vincente, per rimanere sul
 tema iniziale, è quella con Dio».

I giovani sono attirati dalle scommesse e dal gioco 
d’azzardo. Per la sua esperienza ci sono casi anche 
in zona?

«Negli incontri che settimanalmente, durante l’anno, 
facciamo con i ragazzi e gli educatori in oratorio spesso 
ci soffermiamo a parlare di dipendenze e sicuramente
 una di quelle è quella dal gioco, anche se il problema 
più grosso credo sia quello delle droghe. Non dobbiamo
 avere paura di confrontarci con loro. Anzi, la comunità
 religiosa, le istituzioni e le forze dell’ordine dovrebbero
 fare rete ancora di più per contrastare questi fenomeni e 
per aiutare i giovani che purtroppo hanno perso sempre di
 più i loro punti di riferimento».

la ricerca

Nel 2016 è stata effettuata una mappatura delle slot sul 
territorio, nell’ambito del progetto “Mettiamoci in gioco”, 
promosso dall'assessorato al Welfare, in collaborazione 
con i 26 Comuni del Piano di zona di Broni, scuole e 
associazioni, Auser, cooperativa sociale “La Collina”, 
Fondazione “San Germano” di Varzi, cooperativa “ConTatto”.
 In una zona di circa 40 mila abitanti la diffusione media 
delle slot è di una ogni 174 abitanti, con solo 9 Comuni su
 26 (Canevino, Lirio, Volpara, San Cipriano Po, Zenevredo,
 San Damiano al Colle, Montecalvo Versiggia, Rocca 
de' Giorgi) che non hanno luoghi dove sia possibile giocare 
d'azzardo. Nel resto dei Comuni sono 78 i locali attrezzati 
con le macchinette e 6 le sale gioco/scommesse. Su tutto i
l territorio i dispositivi sono 232, di cui circa il 70% concentrat
i tra Stradella, Broni e Santa Maria della Versa. Nel capoluogo
 della valle Versa sono 11 gli apparecchi installati nei 4 locali
 dove è possibile giocare, mentre a Broni ci sono 26 locali, con
 48 dispositivi installati (una slot ogni 195 abitanti). A Stradella,
 invece, in sei mesi le slot installate nei 24 locali sono passate
 da 116 a 90 (una slot ogni 129 abitanti). —

Oliviero Maggi















Dal gioco al volontariato, 

la nuova scommessa di 

Tiberio: «Sono guarito 

dalla ludopatia, ora aiuto 

gli altri»


In soli diciotto mesi è riuscito a sperperare 700mila euro tra case vendute,
 oro e soldi che ha dovuto restituire agli usurai. Si chiama Tiberio Patrizi, ha
 50 anni, è un libero professionista che lavora nel campo del Gpl. Segni 
particolari: ludopatico. Così si definisce, anche se sono sei anni che Tiberio 
sta lontano dalle slot machine. Dalla ludopatia non si guarisce. La si può
 soltanto combattere cambiando il proprio stile di vita.
Tiberio non gioca più nemmeno a tombola a Natale. Non esce mai con più 
di 5 euro in tasca e sta a debita distanza dai bar e da tutti gli esercizi pubblici 
dove potrebbe trovare le “macchinette mangiasoldi”. Certe storie hanno anc
he
 esiti tragici: domenica scorsa un imprenditore di Tecchiena si è tolto la vita 
perché distrutto economicamente dal gioco.
 

IL VOLONTARIATO
L’imprenditore al contrario, dopo aver toccato il fondo, ha deciso di rinascere.
 È tornato a vivere mettendo la sua esperienza così devastante al servizio di 
tanta altra persone che sono finite nella spirale della ludopatia. Così nel 2015 
è nata l’associazione di volontariato onlus “No Game” di cui è presidente.
 Ad aiutarlo in questa battaglia contro il gioco d’azzardo la moglie Rossana 
che gli è sempre stata accanto e che lo ha aiutato in questo percorso di r
inascita. I locali dell’associazione si trovano in piazza VI Dicembre a Frosinone
. Sono stati concessi dal Comune.
La sfida non è semplice. Il giocatore patologico solitamente si rivolge 
all’associazione solo perché accompagnato dai familiari. «Questo - spiega
 Tiberio Patrizi - è soltanto il primo scoglio da superare. Il giocatore 
“compulsivo” oltre a negare l’evidenza, si chiude a riccio. Poi con le sedute
 settimanali di auto-mutuo-aiuto- si rende conto che le sue problematiche 
sono quelle di tante altre persone che stanno vivendo situazioni simili e solo
 allora comincia ad aprirsi e a prendere coscienza del suo stato».
L’associazione “No Game” interagisce con i giocatori compulsivi 
colloqui informativi e di orientamento supportata da strutture pubbliche e 
specialisti volontari che hanno dato la loro disponibilità. Il giocatore
, gratuitamente, si può avvalere dell’auto di un consulente legale per 
risolvere i problemi finanziari. L’associazione, nel caso ce ne fosse 
bisogno, ha la possibilità di entrare in contatto con il centro antiusura. 
In questo momento sono 42 le persone che vengono seguite. I giocatori
 provengono da Frosinone, Boville, Ceccano e Veroli. A seguire Colleferro, 
Monte San Giovanni Campano, Lenola, Pico e Sora.

I NUMERI DEL CAPOLUOGO
Il capoluogo ciociaro, dopo quello pontino, è il secondo nel Lazio dove si
 gioca di più. A seguire Roma, Viterbo e Rieti. A livello nazionale invece 
Frosinone si colloca al 100° posto. Sono 742 gli apparecchi installati a 
Frosinone, questo significa che ce ne sono 16 per ogni mille persone.
Come si finisce nella spirale della ludopatia? «Le motivazioni apparentemente
 - racconta Patrizi- possono essere molteplici, difficili rapporti con la famiglia,
 la mancanza di denaro o di lavoro. Ma la realtà è che il giocatore compulsivo
 ha un problema emotivo ed è su questo che bisogna fare leva affinché 
possa uscire fuori dal tunnel».
Ma si può guarire dalla ludopatia? Patrizi scuote la testa: «Il giocatore 
compulsivo è come l’alcolista che non tocca vino da tempo, ma basta 
un bicchiere per poter ricominciare».
Tiberio, padre di due figlie di 19 e 14 anni, oggi è tornato ad essere un 
uomo sereno, che ha ritrovato la sua dignità. Nel suo viaggio verso la 
distruzione fortunatamente non ha perso il lavoro. Ha un sogno nel cassetto
: trovare dei locali più spaziosi per la sua associazione per accogliere 
un numero maggiore di persone che hanno bisogno».


















Italiani i primi al mondo per turismo sessuale minorile. Perché di questo non se ne parla?




“Scimmiette da castigare” e “prede da catturare”. Vengono apprezzate per la loro docilità, anche se qualcuno si lamenta che sono troppo “consumate” o brutte. Nessun problema: ci sono le “pretty”, o “perle”, ragazze giovani, dalla pelle più chiara e dai tratti più occidentali. Qualcuno avanza l’ipotesi: “Le prede siamo noi, che ai loro occhi siamo degli scemi con scritto ATM in testa”, qualcun altro si lamenta dei viaggiatori “del terzo mondo”, che hanno rovinato la qualità delle ragazze: non è più come dieci, vent’anni fa. Qualcuno consiglia di “infilzarle alla brutta da dietro”, anche mentre dormono: non si lamenteranno. Nessuno fa notare che quello non è sesso, nemmeno a pagamento, ma stupro.

Esaminare lo scambio di informazioni su un forum di turismo sessuale metterebbe alla prova anche la persona più cinica e disincantata. Non che ci si possa aspettare chissà quali ossequi da siti che raccolgono dettagliate recensioni su escort, night club e servizi sessuali, ma l’impressione è che gli utenti siano mossi soltanto dalla peggior misoginia. Non si contano le lamentele nei confronti delle connazionali, che non “la danno”, anche dopo aver preteso cene pagate e regali: è per disperazione che questi gentiluomini spendono le loro vacanze in Paesi in via di sviluppo per consumare rapporti a 10 euro l’ora con delle adolescenti. Anche le stesse sex worker vengono insultate, perché sono arroganti, o perché sembrano poco coinvolte, o perché pretendono di essere pagate la cifra pattuita anche in caso di un rapporto non soddisfacente. Molti insulti sono anche di stampo razzista, specialmente nelle aree del sito dedicate ai viaggi in Africa: le donne vengono chiamate “gazzelle” con “la faccia da babbuini”. Sono cattive e bugiarde “come tutte le africane”.

Siti come questo sono solo la punta dell’iceberg di tutto il traffico online generato dal turismo sessuale: sono centinaia i forum, i canali YouTube, i siti porno dedicati a questa pratica che si mantengono sul filo della legalità. Se in alcuni Paesi la prostituzione è legale, in molti altri casi gli utenti si scambiano consigli su come sfuggire alla polizia. Di frequente però i reati sono più gravi del mero sfruttamento della prostituzione. Quasi nessuno fa esplicito riferimento al fatto che molte di queste ragazze (e ragazzi) siano spesso bambine (e bambini): adolescenti o pronte per le elementari, nei casi peggiori per l’asilo. Secondo l’Ecpat – End Child Prostitution in Asian Tourismogni anno tre milioni di persone viaggiano per turismo sessuale. Circa 250mila sono in cerca di vittime minorenni il cui sfruttamento genera un mercato da 20 miliardi di dollari – e il fenomeno è sottostimato. Il triste primato, con 80mila partenze l’anno, va agli italiani.

Si tratta di una piaga così diffusa che le schede di molti Paesi sul sito della Farnesina Viaggiare Sicuri si preoccupano di mettere bene in evidenza le pene previste per chi sfrutta la prostituzione minorile. “In alcune strade dell’Africa non è difficile trovare sulla strada cartelli che intimano di non toccare i bambini, scritti in italiano”, denuncia Giorgia Butera, presidente di Mete Onlus. L’associazione, in collaborazione con l’Ecpat, lo scorso anno aveva presentato in Senato il progetto Stop Sexual Tourism,campagna che nel 2016 aveva fatto affiggere in 57 aeroporti italiani un manifesto informativo per scoraggiare le partenze. Tra le mete principali c’è l’Asia con Paesi come la Cina, il Giappone, la Corea e la Thailandia, che hanno visto crescere significativamente anche il turismo per lavoro, spesso strettamente e tristemente collegato allo sfruttamento della prostituzione minorile: il dossier parla dell’usanza sempre più diffusa di intrattenere clienti e manager in visita dall’estero con escort, alcool e droghe per saldare relazioni di lavoro. Zone di confine come il Myanmar, il Vietnam e la Cambogia (dove il mercato delle vergini è particolarmente sviluppato), vengono invece scelte perché più economiche. Poi ci sono i Paesi latino-americani, che soffrono anche situazioni di grande povertà infantile, associata a droga e corruzione. L’Africa sub-sahariana è la meta emergente, con Ghana, Kenya, Sudfrica e Zambia ai primi posti.

La pedofilia, intesa come condizione clinica, c’entra poco. Secondo l’Ecpat, solo il 5% degli sfruttatori di prostituzione minorile è pedofilo, mentre il 95% è in cerca di “un’esperienza trasgressiva”. Il 60% di chi parte lo fa in modo occasionale e il 35% in modo abituale e non manca chi, pur essendo in viaggio per svago, usufruisce di servizi sessuali qualora gliene si presenti l’occasione. Il fenomeno coinvolge persone mediamente giovani (l’età media è di 27 anni), e non soltanto uomini. In percentuale nettamente inferiore, anche le donne cercano prestazioni sessuali, anche se in questo caso l’età media delle vittime si alza, con una prevalenza di adolescenti nei Paesi caraibici e africani. In quest’ultimo caso, poi, alla pratica criminale si aggiunge anche un certo lassismo nel condannarla, a causa del radicato pregiudizio secondo cui le donne non sarebbero in grado di perpetrare abusi sessuali. Lo scorso maggio, ad esempio, una servizio de Le Iene raccontava in modo goliardico il viaggio di due donne italiane in Kenya “Alla ricerca del Big Bamboo”, parlando di “turismo romantico” con tono scherzoso e indugiando sulle allusioni razziste delle intervistate. Se la puntata avesse mostrato sessantenni in cerca di ragazzine in Thailandia, il mood sarebbe certamente cambiato.

Il problema si è imposto all’opinione pubblica mondiale grazie alla firma, nel 1989, della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che all’art. 34 prevede che “Gli Stati parti si impegnino a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale”. Il nostro ordinamento prevede la reclusione da uno a sei anni e multe fino a 6mila euro per chiunque recluta, induce, sfrutta o favorisce la prostituzione minorile, senza contare che il turista sessuale deve rispondere anche alle leggi del Paese in cui ha commesso il reato.

Anche l’Italia è meta di turismo sessuale, anche se in questo caso i viaggi interessano connazionali che si muovono all’interno dei confini del Paese e confluiscono soprattutto verso il Meridione. L’Ecpat, in un recente dossier sull’Italia, ha correlato questo fenomeno all’arrivo sulle nostre coste di migliaia di minori migranti non accompagnati, che spesso sfuggono ai servizi sociali e finiscono nelle mani della criminalità organizzata. Un altro gruppo particolarmente a rischio è quello dei bambini rom il cui sfruttamento viene generalmente considerato dagli italiani “radicato nella cultura”, e quindi sminuito o ignorato. A queste categorie si aggiungono ovviamente anche le donne vittime della tratta della prostituzione provenienti dall’est Europa e dall’Africa, molto spesso minorenni. Nella sola provincia di Roma, interessata dal famoso caso delle “baby squillo” (termine da tabloid che sminuisce la gravità del crimine commesso) tra il 2012 e il 2014 c’è stato un aumento del 516% dei processi per crimini relativi allo sfruttamento dei minori.

L’aumento di questi abusi è accostato dall’Ecpat all’incremento del turismo (soprattutto se legato a grandi eventi, come hanno dimostrato le Olimpiadi a Rio, dove si è registrato un boom di prostituzione minorile) e alla diffusione di internet, che facilita lo scambio di informazioni e molto spesso permette allo sfruttatore di mettersi direttamente in contatto con la vittima, o con la sua famiglia. Nel 2013 la Ong Terres des Hommes aveva condotto un esperimento, documentato su YouTube, infiltrandosi in chat room pubbliche con l’identità fittizia di una bambina filippina di dieci anni. In dieci settimane, 20.172 persone avevano contattato il profilo chiedendo performance sessuali a pagamento tramite webcam. Secondo Najat M’jid Maalla, relatore delle Nazioni Unite sulla compravendita di bambini, prostituzione minorile e pedopornografia, almeno 75mila persone sono online in qualsiasi momento in cerca di cam show con soggetti minorenni, ma sono soltanto sei le condanne pronunciate per questo reato in tutto il mondo.

Il turismo sessuale è una piaga che per essere debellata va considerata nell’ottica del colonialismo. All’estero, nei Paesi “esotici”, gli occidentali si sentono svincolati dalle norme sociali che rispetterebbero nei propri Paesi di origine: questo spiega perché i pedofili siano solo una minoranza e perché la maggior parte di chi parte lo faccia per provare “un’esperienza trasgressiva”. Chi va in cerca di soggetti fragili si sente impunito, se non addirittura legittimato, spesso agendo nella convinzione che questi Paesi permettano se non addirittura incoraggino questo sfruttamento. È un approccio di stampo colonialista, che si basa sull’idea che i Paesi del Sud del mondo siano culturalmente meno avanzati, estranei alle nostre salde consuetudini morali, quindi a disposizione del ricco uomo bianco che può acquistare tutto ciò che desidera in cambio di denaro: cibo, alcool, droghe e, ovviamente, corpi. Anche il linguaggio usato sui forum di turismo sessuale lo segnala: si parla con gergo militare, ci si riferisce a cacciatori e prede, bandiere da piantare, nome italiano da tenere alto. Non vi è alcun rispetto o empatia per le vittime, ma spesso solo disprezzo e ripugnanza accompagnati dalla pretesa che queste donne e bambine accolgano i propri clienti con sorrisi, affetto e moine.

Negli anni del fascismo la pratica di avere schiave sessuali bambine nelle colonie africane si chiamava madamato, ed era una consuetudine talmente diffusa che ancora nel 1986 Indro Montanelli difendeva in tv il suo diritto ad aver avuto rapporti sessuali con una dodicenne, che definiva un “animalino docile”. Oggi le colonie non esistono più, ma il nostro Paese non ha ancora fatto i conti con il suo passato coloniale e il madamato si è trasformato in turismo sessuale. Cambia il nome, ma la matrice è la stessa: esercitare il dominio, che sia economico, razziale o più semplicemente patriarcale, senza il minimo riguardo nei confronti delle persone sfruttate. Persone che in questi casi non ricorrono alla prostituzione per loro libera scelta, ma perché costrette dalle circostanze, dalla famiglia, dalla criminalità organizzata. A maggior ragione, se parliamo di minori e di bambini la scelta non è mai libera.

Gli effetti sulle vittime della tratta sessuale sono devastanti, anche perché solo una piccola percentuale riesce a uscirne e, anche una volta sottrattasi, spesso non esiste alcun tipo di supporto psicologico, sociale ed economico. Se a chi abusa basterà rientrare in Italia, magari dai propri figli della stessa età delle vittime degli abusi commessi in Kenya o Tailandia, per tornare alla vita normale, alle vittime della prostituzione minorile non basterà una vita intera.











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