sabato 2 maggio 2020

SINDACATI DOSSIER SCANDALI E BUSINESS.

Gli scandali infiniti dei sindacalisti complici



Quando abbiamo preso a chiamare “complici” i sindacati ufficiali – insomma: Cgil, Cisl e Uil – in molti, anche nella cosiddetta sinistra radicale, hanno arricciato il naso. Ok, ci veniva detto, va bene la critica di una linea decisamente arrendevole, ma da qui a chiamarli di fatto “servi del padrone” ce ne corre.
Eppure la definizione di “complici” era stata proposta da Maurizio Sacconi, il più feroce nemico del sindacalismo pro-lavoratori che si sia mai visto. E lui, che veniva dalla Cgil oltre che dal Psi craxiano, sapeva indubbiamente bene di cosa stava parlando…
Poi la scomparsa improvvisa di Raffaele Bonanni, da segretario generale della Cisl a “invisibile”, ha cominciato a far uscir fuori alcuni comportamenti decisamente incompatibili col ruolo di “difensore dei diritti dei lavoratori”. A cominciare dagli stipendi, autoattribuiti nella più totale segretezza e a livelli da far invidia al presidente degli Stati Uniti.
La cifra esatta dello stipendio di Bonanni è stata a lungo un mistero della fede. Il Fatto Quotidiano, qualche anno fa, l’aveva quantificato in 336.000 euro annui (Obama prende 250.000 dollari, poso più di 200.000 euro…). L’unica cosa certa è che il maxiaumento retributivo per il segretario generale, deciso poco dopo la sua ascesa a quella poltrona, è arrivato giusto in tempo per arricchire il suo monte contributivo in vista della pensione, per cui fce domanda nel 2011.
A proposito di tempismo, giova ricordare che quella domanda venne fatta mentre già si preparava la sostituzione di Berlusconi con Monti, e quindi quella “riforma delle pensioni” ordinata dalla lettera della Bce (agosto 2011) e che avrebbe poi preso il nome dalla signora Fornero.
Voci di corridoio riferiscono che al dunque, la sua pratica sia stata espletata in soli tre giorni, giusto qualche mese in meno di quel che è necessario per un qualsiasi lavoratore. Dal 2012 al momento delle dimissioni – nell’autunno del 2014 – riuscì a sommare il ragguardevole stipendio con un assegno mensile netto di 5.391,50 euro mensili (lui dice 5.122, ma insomma siamo lì), ovvero altri 65.000 annui.
Dentro la Cisl, allora, si svolse una vera e propria faida a colpi di dossier e lettere di denuncia, anonime o palesi. E in questo modo venne fuori che il “vizietto” di darsi compensi faraonici era diventato un sport alquanto diffuso.
La sostituta di Bonanni, Annamaria Furlan, nuova segretaria generale nazionale della Cisl, si era impegnata a riportare la situazione a livelli accettabili. E quindi ha ridotto, per esempio, il suo stesso stipendio portandolo dai 336.000 euro del predecessore a “soli” 156.627,52 euro annui- Che comunque, rispetto ai compensi previsti del 2008 (anno di esplosione della crisi generale e di inizio delle politiche di “austerità” prescritte dalla Troika), segna un aumento del 58,11% ai 76.201,60 euro annui (più un 30% di “indennità”); totale 99.000 euro.
Ma il “vizietto” di attribuirsi stipendi faraonici è decisamente più diffuso e coinvolge livelli molto meno importanti della segreteria generale.
Pochi giorni fa, Fausto Scandola, iscritto dal ’68 alla Cisl (il ’68 non è stato uguale per tutti, diciamolo, e comunque allora anche una parte della Cisl divenne improvvisamente conflittuale), naturalmente oggi pensionato in quel di Verona, ha preso carta e penna per fare nomi e cifre.
In cima a tutto la domanda politica inaggirabile: I nostri Rappresentanti/Dirigenti ai massimi livelli Nazionali della nostra Cisl sono ancora, si possono ancora considerare Rappresentanti Sindacali dei Soci finanziatori, lavoratori dipendenti e pensionati? I loro comportamenti, lo svolgere dei loro ruoli, come gestiscono il potere, si possono ancora considerare da esempio e guida della nostra associazione che punta a curare gli interessi dei lavoratori dipendenti e pensionati soci finanziatori? O rappresentano caratteristiche più affini a chi gestisce una sua proprietà? Come poterli definire, da come esercitano il rispetto delle regole Confederali nel costruirsi i propri compensi, ricavati dal finanziamento volontario dei soci iscritti?”.
Per stare sul sicuro, Scandola denuncia casi che conosce direttamente e di cui presumibilmente, ha in mano le carte per provare ciò che dice. Per esempio Antonino Sorgi, presidente nazionale dell’Inas Cisl – il patronato, di fatto – che nel 2014 si sarebbe messo in tasca 77.969,71 euro di pensione, 100.123,00 euro di “compensi” da parte dell’istituto che dirige e altri 77.957,00 euro grazie al ruolo dirigente nell’Inas immobiliare. Il totale (256.049,71 euro), anche qui, supera seppur di poco lo stipendio di Obama. Ma volete mettere quant’è più difficile e faticoso dirigere un patronato rispetto a guidare gli Stati Uniti d’America?
Meglio di lui avrebbe fatto però l’ex presidente del Caf della Cisl, Valeriano Canepari, che l’anno prima sarebbe riuscito a sommare 97.170,00 euro di pensione e 192.071,00 euro di compensi da parte dell’Usr Cisl Emilia Romagna – l’Unione Sindacale Regionale – per un totale di 289.241,00 euro.
I nomi denunciati dall’orripilato Scandola sono molti di più, spesso noti soltanto agli addetti ai lavori. Ma appunto il loro numero e il loro “grado”, alla testa di funzioni minori del sindacato nazionale, fa a cazzotti con l’entità delle cifre percepite.
Non che la Cgil stia messa molto meglio, anche se le cifre sono decisamente meno rilevanti. Guglielmo Epifani, per esempio, è titolare di una pensione mensile netta di appena 3.400 euro, comunque frutto di un “ritocco” stipendiale (appena 800 euro) deciso alla vigilia della presentazione della domanda di pensione.
Gli scandali, in Corso Italia, sono gestiti con metodologie antiche, miranti a salvaguardare il buon nome dell’organizzazione anche a costo di far scomparire dalla circolazione quelli presi con le mani nel lardo. Lì dentro, per esempio, ancora si parla a mezza bocca di quel membro della segreteria nazionale improvvisamente dimesso subito dopo aver gestito i lavori di ristrutturazione della sede centrale.
Cose minori, come si vede, sul piano finanziario. Ma nello stesso milieu “culturale”. Perché – bisogna sempre ricordare – quegli stipendi vengono pagati con i soldi degli iscritti, spesso semplici lavoratori da 1.000 o meno euro al mese; e i cui diritti – contrattuali o legali – vengono svenduti con regolare costanza da dirigenti che “grattano” in cassa.
1 maggio 2020 non è cambiato nulla dal mio diario lavorativo edito nel 1995. Continua lo status politico-sindacale ipocrita istituzionale lobbyistico contro la merotocrazia e l'onestà individuale a favore di una fiorente prostituzione lavorativa, con il supporto ,dei vari giuda di turno che per 30 denari si vendono i colleghi lavoratori e la loro dignità. I video delle mie letture si trovano digitando mobbing Cervi Gabriele nel motore di ricerca di YOUTUBE nella mia playstil.
Ormai noi lavoratori siamo abituati a tutto.
Ormai nulla ci può più scandalizzare.
Ormai i partititi e le loro lobby, i sindacati e i loro vecchietti pensionati
ci hanno tolto anche l’ultima speranza: quella di poter trovare un posto di lavoro.
Ormai siamo consci che questi mediocri politici e sindacalisti hanno fatto a pezzi il mondo del lavoro.
Ormai loro alla fine vorrebbero toglierci anche la dignità
Ormai hanno reso i lavoratori, giovani e vecchi dei zombie.. morti viventi
Ormai loro personaggi corrotti e onnipotenti hanno rovinato il mercato del lavoro
Ormai nulla e nessuno li potrà fermare perché loro sono lo status, perché loro fanno e modificano le leggi per il bene comune ad personam
Ormai se prima i lavoratori erano considerati dei numeri, ora i lavoratori non sono proprio considerati
Ormai loro si sono creati uno status sociale, economico e lavorativo senza più ritorno
Ormai ci hanno fregato..
Domani canteranno con i loro mercenari, nelle loro piazze il lavoro, domani ipocritamente contesteranno il precariato e non
Gabriele Cervi
I video delle mie letture si trovano digitando mobbing Cervi Gabriele. nel motore di ricerca di YOUTUBE .
Leggere le lettere di Don. LORENZO MILANI mi ricarica. Il primo maggio 2020 per me è DON LORENZO MILANI.

Truffe, morti resuscitati e iscritti a loro insaputa. Tutti gli scandali nascosti

 

A Piacenza anziani arruolati dallo Spi-Cgil senza consenso e derubati, mentre a Bari spariscono le quote dei pensionati. I casi imbarazzanti infilati sotto il tappeto
I gnari vecchietti «sindacalizzati» o meglio derubati direttamente della pensione, tesorieri che s'intascano il malloppo, contributi incassati per la formazione che non c'è, truffe all'Inps sulle dichiarazioni di defunti «resuscitati» per prendere quattrini.
Susanna Camusso, segretario della Cigl, a Cernobbio








Addirittura, lo sciopero come arma di estorsione. Il campionario degli orrori sindacali è spesso nascosto tra le pagine dei quotidiani locali, «casi isolati» finché si vuole, però infilati come polvere sotto il tappeto da chi invece avrebbe tutto l'interesse a eliminare le «mele marce». Lo scenario che emerge è per nulla rassicurante. Da Nord a Sud, ecco il bestiario dei furbetti del sindacato.
Le rapine sulle pensioni Strano a dirsi, è una sentenza di assoluzione a squarciare il primo velo sulle zone grigie della rappresentanza. A settembre il Tribunale di Piacenza ha assolto cinque sindacalisti dello Spi-Cgil (quattro dirigenti, un dipendente) dall'accusa di aver usato un software per iscrivere senza consenso 129 pensionati. Ma soltanto perché dopo quattro anni di indagini, perizie e interrogatori, non è stato possibile determinare con certezza - «a causa dei complessi passaggi informatici» - chi tra gli imputati avesse materialmente «arruolato» quei pensionati. Resta il fatto accertato: 129 persone iscritte al sindacato a loro insaputa, con le quote sottratte ogni mese dalle loro pensioni. Sembrano briciole: sei, sette euro a cedolino. Ma fanno 10mila euro l'anno risucchiati con metodo truffaldino, per anni. Beffa delle beffe, nella rete dei depredati era finita pure la madre del giudice che avrebbe dovuto occuparsi inizialmente dell'inchiesta. Un pasticcio cittadino che è diventato caso nazionale con risvolti nei palazzi romani, perché è venuto a galla proprio nel feudo di Pier Luigi Bersani e del Pd. Gli ex vertici dello Spi piacentino accusano la Cgil dell'allora segretario Guglielmo Epifani di aver fatto di tutto per circoscrivere mediaticamente l'impatto del ciclone, dicono di aver subito «un'epurazione» perché colpevoli di aver denunciato lo scandalo. Come se non bastasse, la Cgil in sede di processo si era anche costituita parte civile chiedendo un risarcimento di 100mila euro. Aspetto quanto meno paradossale per l'avvocato Fausto Co', difensore dei cinque imputati e già senatore di Rifondazione comunista, che spiega al Giornale : «La “canalizzazione” delle quote trattenute ai pensionati comporta che il 30 per cento vada alla Cgil e il 50 per cento allo Spi. I miei assistiti non hanno sottratto nemmeno un euro dalle false iscrizioni, le indagini lo dimostrano. La Cgil non solo non ha restituito le somme ai pensionati raggirati, come invece ha fatto interamente e con gli interessi lo Spi, ma ha preteso il riconoscimento del danno morale». L'ex segretario della Camera del lavoro di Piacenza Gianfranco Dragoni ha scritto alla leader Cgil Susanna Camusso per invitarla a prendere posizione contro «il muro di omertà» alzato dal sindacato. Risposta non pervenuta.
La banda del buco È materia da codice penale ciò che sta accadendo a Bari. In Procura è arrivata una denuncia perché dalle casse dello Spi-Cgil pugliese mancano almeno 40mila euro di quote d'iscrizione dei pensionati. Proprio gli ispettori del sindacato, durante i controlli di routine nel luglio 2013, si sono accorti delle irregolarità contabili. La Guardia di finanza sta indagando per capire le reali proporzioni del furto. Racconta il segretario Spi-Cgil Puglia Giuseppe Spadaro: «Può sembrare incredibile, ma è proprio così. Hanno manomesso il conto corrente e falsificato gli estratti conto. Da parte nostra abbiamo denunciato tutto alla magistratura, espulso e allontanato la responsabile amministrativa e altri quattro dipendenti. Siamo pronti a costituirci parte civile e a recuperare le somme sottratte al centesimo». In Puglia il sindacato pensionati della Cgil può contare su circa 160mila deleghe di iscritti, che valgono 600mila euro l'anno. Un gruzzoletto che evidentemente non poteva non far gola a qualcuno.
Il prezzo dello sciopero A Salerno un'altra sentenza che fa scalpore. A ottobre sono stati condannati a tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno tre sindacalisti esponenti di Cgil e Uil (radiati dalle rispettive organizzazioni appena scoppiato il caso), che avrebbero minacciato agitazioni e altre azioni di protesta da parte dei dipendenti per costringere un imprenditore «a versare somme di denaro», una sorta di «pizzo» insomma. Lo sciopero diventa persino arma di ricatto ed estorsione. Sempre in Campania, d'altronde, nel 2011 i magistrati hanno acceso i riflettori su un sistema ben collaudato di false iscrizioni alla Feneal-Uil di Caserta a carico, anche qui, di ignari lavoratori della Cassa edile, per intascare le quote associative trattenute - ça va sans dire - direttamente sugli stipendi. Fu la denuncia di un funzionario della stesso sindacato a scoperchiare il pentolone. Due arresti e altri quattro indagati: per almeno quattro o cinque anni avrebbero fatto incassare alla Uil 50-60mila euro a semestre.
La formazione fa il sindacalista avido «Suvvia, ho fatto il sindacalista a Cuneo...», avrebbe detto magari Totò leggendo le cronache che arrivano dal Piemonte. A luglio sei sindacalisti, tra cui ex segretari provinciali della Flai-Cgil e del Fai-Cisl, sono finiti indagati per appropriazione indebita, accusati di aver truffato nove aziende alimentari facendosi consegnare contributi per la formazione per 164mila euro, oltre a quelli di undici cooperative sociali per altri 400mila euro. Tutti soldi non dovuti: i corsi non esistevano.
I Caf dei morti viventi Un passo indietro di due anni, siamo nel 2012, e ci spostiamo a Roma. È l'Inps a denunciare i Caf in Procura per una tentata truffa ai danni dello Stato da 2 milioni di euro. L'accusa: «Quando compilano truccano le carte a spese dell'istituto». Sono state verificate tutte le dichiarazioni compilate dai Caf di Sicilia, Calabria e Campania dal 2008 al 2010. Su oltre 130mila c'è il fondato sospetto di irregolarità. Per ogni modulo (falso) i Caf portano a casa un rimborso statale fra i 10 e i 16,50 euro. Moltiplicazione dei pani e dei pesci: la maxi-frode raggiunge quota 2.114.341,80 euro. Spuntano 20mila dichiarazioni di defunti «resuscitati» giusto per far quadrare i conti dei sindacati, accusano gli ispettori Inps. Coinvolte tutte le sigle in maniera assolutamente «bipartisan»: Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confsal, federazioni dei pensionati, degli artigiani, dall'area di sinistra a quella cattolica. Venghino, siori, venghino . Al banchetto c'è posto per tanti. Troppi.

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